La vitamina K è un cofattore necessario all'enzima microsomiale epatico carbossilasi, per convertire i residui glutamici di determinati precursori proteici a gamma-carbossilglutamati. I fattori della coagulazione del sangue VII, IX e X e la protrombina richiedono tutti la carbossilazione di residui di glutammato per la loro attività funzionale.
La carbossilazione fornisce i siti di legame per gli ioni calcio, indispensabili per le interazioni calcio-dipendenti di tali fattori della coagulazione con un fosfolipide di superficie coinvolto nella formazione della trombina.
Anche l'attivazione delle proteine anticoagulanti C ed S necessita di una carbossilazione del glutammato.
Studi eseguiti in tempi più recenti hanno anche dimostrato che la vitamina K è indispensabile ad una classe di proteine non implicate nella coagulazione del sangue. Tali proteine sono presenti in tessuti quali rene, osso, placenta e polmone. Il ruolo della vitamina K è sempre il medesimo: carbossilare il glutammato. Un esempio tipico di queste proteine è l'osteocalcina, una proteina non collagena secreta dagli osteoclasti, pertanto sembra che la vitamina K possa anche favorire la calcificazione delle proteine dell'osso.
Forme
Le vitamine K vengono suddivise in tre gruppi:
- Vitamina K1 o fillochinone (2-metil-3-fitil-1,4-naftochinone) di origine vegetale e che costituisce la forma più presente nella dieta;
- Vitamina K2 o menachinoni di origine batterica;
- Vitamina K3 o menadione, liposolubile, di origine sintetica ed il suo derivato bisolfitico, idrosolubile.
Vitamina K endogena ed esogena
Nel corso della reazione della vitamina K con le sue proteine di substrato, la sua forma attiva (ridotta) viene ossidata ad epossido, ma è successivamente ridotta per attività di una epossidoreduttasi epatica. In un fegato sano, la vitamina K viene efficacemente riciclata ed il fabbisogno dietetico giornaliero è basso. A questo si aggiunga la sintesi della vitamina mediata dalla flora intestinale.
E' necessario solo un piccolo apporto esogeno, che è largamente presente in vegetali (i più ricchi sono quelli a foglie verdi come verza, spinaci, broccoli, cavolo, cime di rapa, ecc...), nella soia, nei piselli, ceci, the verde, uova, fegato di maiale e di manzo; anche se in quantità minori, è presente anche in latticini, carne, frutta e cereali.
La carenza generalmente si manifesta in:
- sindromi da malassorbimento dei grassi, come le patologie delle vie biliari;
- distruzione della flora intestinale che sintetizza la vitamina endogena, ad esempio dopo la somministrazione di antibiotici ad ampio raggio;
- periodo neonatale, quando le riserve epatiche sono scarse, la flora batterica non è completamente formata e il latte materno ne ha scarse quantità;
- epatopatie diffuse, anche in presenza di una normale riserva di vitamina K, perchè la cattiva funzionalità degli epatociti interferisce con la sintesi dei fattori della coagulazione vitamina K-dipendenti.
Una carenza indotta a scopi terapeutici
Nei pazienti con malattia tromboembolica, il deficit della vitamina K viene indotto a scopo terapeutico mediante la somministrazione di anticoagulanti cumarinici; questi agenti inibiscono l'attività dell'epossidoreduttasi epatica e prevengono la rigenerazione della vitamina K ridotta.
Conseguenze cliniche del deficit di vitamina K
La carenza di vitamina K, o l'inefficace utilizzo da parte del fegato, provoca soprattutto una diatesi emorragica. La manifestazione più seria è l'emorragia intracranica, ma le perdite ematiche possono insorgere in ogni sede, come cute, ombelico e visceri. Nel neonato normale a termine, la flora endogena ci mette una settimana per rifornirlo di vitamina K, necessaria a correggere la carenza.
Negli adulti può insorgere una diatesi emorragica caratterizzata da ematomi, ematuria, melena, ecchimosi e sanguinamento gengivale.
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